domenica 4 settembre 2016

PANOPTICON - LA RECENSIONE















LA  NUOVA WEB SERIE DI DANIELE MISISCHIA E CRISTIANO CICCOTTI: TRA MINIMALISMO, ANSIA E CLAUSTROFOBIA.  

TRAMA:

Manuel Timovic è un ragazzo affetto da gravi disturbi psichici. Entrato in cura dal dottor Bentham, Manuel inizierà una strana terapia sperimentale che, passo dopo passo, aiuterà il ragazzo a reintegrarsi nel mondo esterno, ma allo stesso tempo cancellerà dalla sua memoria le atrocità commesse da lui in passato. 
















LA RECENSIONE: 

Minimalista, ansiogena e claustrofobica, ecco i primi aggettivi che mi vengono in mente per descrivere la nuova web serie di Daniele Misischia e Cristiano Ciccotti, due registi romani del panorama indipendente italiano che ci avevano già regalato interessanti lavori come "Connetions" e "Adrenaline".  
Questa volta i due registi fanno di nuovo squadra e, con un budget di 5000euro, danno vita a Panopticon, una serie di 15 micro episodi ambientata in un futuro distopico che sta perfettamente tra le opere di George Orwell e quelle di Philip K. Dick. 
Partendo da un ambientazione minimalista e claustrofobica, situata all'interno di un appartamento, la storia si evolve passo dopo passo per poi portare il protagonista (interpretato da Rimi Bequiri) ad uscire dalla propria reclusione (più mentale che fisica) e a ritrovarsi così catapultato nel mondo esterno, un mondo vuoto, vasto e silenzioso che, come dice lo stesso protagonista, "non è altro che una prigione più grande". 
In questo modo Misischia e Ciccotti danno, con un tocco anche personale e originale, una perfetta definizione di "Panopticon", ovvero, una gigantesca prigione dove il soggetto è osservato continuamente ma è praticamente incapace di comprendere in quale momento l'occhio sia puntato su di lui, una stupenda metafora del potere invisibile ma sempre onnipresente, che ci osserva, ci manipola e ci obbliga a fare determinate azioni.
Ogni episodio è come il pezzo di un puzzle o di un mosaico, inizialmente sembra tutto confuso e fuori posto, ma andando avanti nella storia e mettendo ogni pezzo al posto giusto riusciamo ad avere una visione completa e chiara di questo quadro distopico e malato creato dai due registi romani.
Con un buon uso della macchina da presa e un ottima interpretazione di Rimi Beqiri, lo spettatore riesce a sentire direttamente sulla propria pelle quelle stesse ansie, angosce e fobie provate dallo stesso protagonista, il quale, sentendosi continuamente osservato da un gigantesco mostro a 100 occhi, che lo spia e ne condiziona ogni singola azione, non può fare altro che assoggettarsi al potere.  
C'è il cinema di Carpenter, quello di Gilliam, c'è la letteratura di Dick, Orwell e William Gibson, in poche parole i due registi ci dimostrano ancora una volta come il cinema di genere non sia solamente azione, inseguimenti e sparatorie, ma che, come ogni altra forma d'arte, è sopratutto uno strumento che può e deve essere usato per mandare il proprio messaggio personale. 


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